Mt 25,31-46 (San Martino di Tours)
San Martino nel calendario liturgico è una “memoria”, ma le cittadine di Riccione e Sant’Arcangelo, ad esempio, la celebrano come solennità, dato che loro patrono. Ecco allora che la liturgia di oggi ci presenta il brano di Mt sul giudizio finale, legato alla figura di Martino probabilmente a ricordo del suo celebre gesto: lui che ha diviso il suo mantello, per darlo ad un «piccolo», è già nella schiera dei «giusti», coloro che stanno alla destra di Dio, vicino a lui.
Tecnicamente il brano non è una parabola, ma una descrizione profetica, una “pre-visione” di quello che avverrà. Tuttavia tale descrizione utilizza – non potrebbe essere altrimenti – parole e modi di esprimersi cari e chiari all’immaginario popolare di quel tempo, in cui Gesù disse quelle determinate parole. Vediamole:
– Egli è presentato come un RE (che, è bene ricordarlo, dovrebbe essere colui che serve il suo popolo, non un despota! Gesù è dunque re nel vero senso del termine) che retribuisce i suoi sudditi per quanto hanno fatto;
– È presentato inoltre nelle vesti del PASTORE (e qui è ancora più esplicita l’idea di chi si prende cura di qualcuno).
Già nell’Antico Oriente, da cui la tradizione dell’Antico Testamento attinge, le due figure erano strettamente legate fra loro: il re stesso veniva chiamato “pastore”, e le insegne dei re egiziani (il flagello e lo scettro) rimandavano a quelle del pastore (la fronda per scacciare le mosche e il bastone per pascolare!). Questo legame ci porterebbe in ogni caso troppo lontano, perché ricchissimo di rimandi..
Il brano è in ogni caso carico di contrasti: pecore-capri; destra-sinistra; benedetti-maledetti.
La destra è nella Bibbia il lato “buono”, e questo per via dell’uso delle nostre mani: la maggior parte degli uomini usa la mano destra, così la sinistra appare goffa e impacciata, non in grado di fare “bene”. Da qui l’idea della destra come lato “giusto”, del BENE, e della sinistra come lato “sbagliato”, del MALE.
Siccome poi le pecore andranno a destra e i capri a sinistra (senza allusioni politiche..), si capisce ad esempio perché il diavolo sia identificato talvolta come un caprone.
Lo stesso per la divisione benedetti–maledetti. NB: mentre nel giardino dell’Eden Dio maledice il serpente, ma non l’uomo, qui tocca anche a quest’ultimo…
Il Vangelo chiama poi in causa il FUOCO, altro elemento biblico dalla simbologia potentissima: siccome i due effetti principali del fuoco sono quello di illuminare e di distruggere, ecco che nella Scrittura rimanda a Dio ma anche al castigo. Fuoco che, tuttavia, non è stato preparato per l’uomo, ma «per il diavolo e per i suoi angeli». Come a dire: l’uomo, col giusto uso della sua libertà, è in grado di salvarsi (o meglio “lasciarsi salvare”) o meno!
Ma torniamo alla figura di Gesù/Re: egli retribuisce o sanziona – nell’ultimo giorno – in base alle opere, in base cioè all’amore, che però TUTTI I SUDDITI, benedetti e maledetti, ignorano!? Né i giusti né gli ingiusti si sono resi conto, in vita, di aver fatto del bene o del male… Non so, forse calco un po’ la mano in questa interpretazione, ma è come se Gesù volesse sottolineare che il bene va fatto per se stesso, non in vista di una ricompensa. In altri termini: l’amore si fa unicamente per Amore, non per essere retribuiti. E’ forse per questo che amore e libertà vanno a braccetto, senza troppi ragionamenti…
Questo amore donato è qui in relazione alle opere di misericordia del giudaismo, legato alle prime necessità dell’uomo: mangiare, bere, avere una “casa”, un vestito, essere sano e libero (cfr. Is 58,7; Ez 18,7; Tb 4,16; ecc…). Chi avrà amato “concretamente” (sfamando, abbeverando, vestendo, ecc..) i «più piccoli» starà VICINO A DIO, alla sua destra; mentre chi non lo avrà fatto non godrà di tale vicinanza («Via, lontano da me..»), il vero premio, cioè STARE (per) SEMPRE VICINO A CHI CI VUOLE BENE, vicinanza di cui quella genitoriale, amicale e matrimoniale è solo – anche se non è poco – figura, pregustazione.
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