Gv 16,16-20
“la vostra tristezza si cambierà in gioia”
Siamo sempre nell’ambito dell’ “ultima cena” e Gesù sta conversando coi suoi, quasi preannunciando una partita a nascondino. Il discorso però si fa sempre più incomprensibile per gli interlocutori: “Un poco e non mi vedrete più; un poco ancora e mi vedrete..”.
Queste righe giocano tra presenza e assenza di Gesù, tra vederlo e non vederlo più, tra tristezza e gioia. Sta dicendo loro semplicemente che è arrivato per lui il momento di assentarsi dal mondo, e ciò comporterà la tristezza dei discepoli (nella Bibbia la tristezza vera è sempre legata all’assenza di Dio!); tuttavia questo assentarsi è in realtà un mutare la presenza, un cambiare il “modo” di farsi vedere, di essere presente, che dalla sua ascensione al Padre in poi sarà possibile grazie allo Spirito da lui donato. Ma allora, se è lo Spirito Santo il nuovo modo di essere presente da parte di Gesù, significa che la nostra gioia è proprio in relazione allo Spirito (cioè ad una presenza “diversa” di Dio nella nostra vita).
Ciò che ci fa problema è però il fare i conti quotidianamente con quel “poco” (che ricorre ben sette volte in così poche righe) tempo in cui Gesù si assenta. Un poco che a noi pare un’eternità! Quand’è – mi chiedo – che siamo davvero tristi? Quando smettiamo di sperare (cioè di aver fede nonostante l’evidenza, diceva Tonino Bello), quando non crediamo che la nostra vita – futuro, progetti, legami, lavoro, amicizie, ecc.. – sia davvero nelle mani di Dio. Quando, ancora, non “vediamo” (verbo che ricorre 6 volte) più con gli occhi della fede.
Crediamo davvero che Gesù morto non sia assente? Eppure, ci ricorda padre Elia Citterio, il contrario di “morte” è “amore”; come a dire che quel Morto in croce continua ad essere presente nella nostra vita (col suo Spirito) soprattutto quando amiamo. E’ in questo momento che lo “vediamo”: nell’altro, nelle situazioni, nelle stesse fatiche come nelle gioie.
Eppure le nostre fatiche e tristezze continuano a manifestarsi, a tratti ad avere anche la meglio su di noi. La garanzia però che la nostra gioia possa essere eterna sta nel fatto che, l’Agnello immolato e ritto (immagine dell’Apocalisse), non ha perduto le sue ferite: è sgozzato ma in piedi (= risorto), nonostante quelle ferite lì. La nostra tristezza (assenza di Dio) è cioè già stata vinta. La vita è dura, spesso incomprensibile, ma se l’Agnello ha vinto, ha vinto, punto e basta!
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