Vorrei iniziare questa testimonianza parlando della perfezione incarnata: Caterina Busca.
Caterina – tralasciando l’azzardata ironia – è stata in questi quattro giorni oggetto delle mie più bizzarre dimostrazioni d’affetto, in quanto lei mia protetta ed io suo folletto.
Il primo giorno l’ho ad esempio affogata di caramelle nascoste nell’armadio, nei cassetti, in tasche di giacche, maglie e zaini. Ogni volta che ne trovava un mucchietto esultava contenta ed io, che soddisfatta evitavo di ridere o fare qualsiasi cosa potesse destare sospetti, ero probabilmente più felice di lei.
Il bello della convivenza è che insegna a non svalutare la quotidianità. E’ una di quelle esperienze da cui ne esci col cuore colmo e con gli occhi sbarrati.
Davo spesso per scontato tornare a casa da scuola e pranzare con chi mi vuole bene; mi dava spesso noia ricevere rimproveri, rispettare gli orari. E la convivenza è cambiare prospettiva: notare in tutto questo il bello della vita.
L’umore di Caterina è cambiato drasticamente grazie a quelle caramelle, solo perchè sapeva che sotto c’era un folletto che si prendeva cura di lei.
Quanto ho capito è che tutta la vita è un mucchio di caramelle, nascoste sotto i vestiti, da Qualcuno.
E quel Qualcuno gioisce più di noi quando le troviamo e ringraziamo.
Non voglio banalizzare la routine, continuare a camminare e non vedere. Non chiediamo “i segni” ma impariamo a riconoscerli anche nell’evidenza.
Il percorso che abbiamo intrapreso in questa convivenza – incentrato sui discepoli di Emmaus – calza perciò a pennello.
Come questi hanno scoperto Gesù nel volto del forestiero solo nel vederlo spezzare il pane, così io ho realizzato quanto affetto provo per i ragazzi, gli educatori ed i don che mi hanno acccompagnata in questa esperienza solo poche ore fa.
Era il momento di leggere le lettere per il protetto e senza alcun ritegno io sono scoppiata a piangere. Non vi è una spiegazione logica, ma cosa più del pianto può esprimere quanto tutto questo abbia per me significato? Ero semplicemente felice di aver avuto l’opportunità di vivere la quotidianità con loro.
La convivenza fa questo – fa afffezionare, commuovere, gioire alla vita – senza grandi luoghi e grandi eventi, e se niente quindi è banale, non lo sarà certo concludere con – Vi voglio bene.